Guardante
Lorenzo Commisso, Luca Suelzu, Marco Mendeni, Raffaele Santillo, Stefano Spera
dal 24 febbraio al 03 aprile 2021
a cura di Stefano Monti
SMDOT/Contemporary Art, Udine
Guardante, participio presente di guardare.
Il participio presente è un modo verbale molto vicino all’aggettivo e al sostantivo. Partecipa a queste categorie. Possiamo dire che nella sua natura strutturale, si muove, crea avvicinamenti e distanze variabili. Il verbo guardare, inoltre, ha come suo movimento essenziale quello di rivolgere intenzionalmente lo sguardo; si può guardare senza vedere e vedere senza guardare. L’azione del guardare, nell’antichità, era l’azione che poteva condurre alla meraviglia, la meraviglia, che secondo una costante e antichissima tradizione è l’archè del filosofare, dell’amore per la conoscenza o della conoscenza dell’amore, sicuramente, la sfera ottica rappresentava l’apertura originaria volontaria verso l’altro. Nella modernità, le modalità cambiano, la sfera acustica acquisisce maggiore importanza, la rivelazione/meraviglia arriva, quasi sempre, attraverso la voce, questo è il nostro debito verso l’ebraismo. Nella Bibbia si legge “L’Eterno parlò a voi dal fuoco. Voi udiste una voce di parole, ma forme, figure non ne avete vedute, tranne la voce” (Dt,4,12). Dalla voce al linguaggio orale e scritto il passaggio può essere intuitivo, sicuramente meriterebbe di essere approfondito, non è possibile in questo contesto. La mia attenzione resta sul guardare, sul suo senso e il pericolo di una deriva della sua pratica in un’applicazione in bassa definizione. Un’azione, un movimento che spesso viene scambiato con il vedere, dove lo sguardo diventa superficiale, nel senso che si occupa solo della superficie, diventa un’attività ricognitiva, mentre porre lo sguardo volontariamente impone non solo l’utilizzo della sfera ottica, ma anche di quella acustica e tattile. L’occhio guardante non vede solo la superficie, tocca e ascolta quello che vede, penetra la superficie, si prende cura di quello che guarda e di sé stesso.
Questo è il piano concettuale, abitato dalla mostra collettiva Guardante, dalle singole opere, dagli artisti e dai visitatori. Un piano dai confini frastagliati all’interno del quale ci sono molte traiettorie, un piano scomodo, nel senso di un luogo dove è abbastanza difficile accomodarsi. Le opere sono tutte realizzate utilizzando il medium della pittura, sicuramente la pratica che maggiormente mette in gioco contemporaneamente i movimenti del guardante. I quadri, non solo quelli esposti in questa occasione, hanno uno scopo: fanno sparire le pareti sulle quali sono appoggiati, rompono il piano, creano delle fenditure. Sono oggetti e soggetti contemporaneamente, sono vettori di senso, sono anch’essi guardanti. Possiamo ipotizzare questa mostra come un esercizio scomodo di sguardo intenzionale. [...]
“Madre dell'Aurora” di Raffaele Santillo, tela di media dimensione, ci mostra una figura che guarda, ci guarda e che viene guardata, è la figura della memoria, è l’inizio della memoria, è una madre, è la Madre, è l’Aurora, è la coscienza, è la presenza di un’assenza. Il ricordo individuale, di una visita ad un sito archeologico, il Museo Campano provinciale di Capua, il museo vivente delle Madri, in occasione di una gita scolastica, diventa il simbolo, la figurazione della memoria. Il tufo, pietra dura, diventa un materiale malleabile, intenso, profondo che affonda l’occhio e il gesto nella durata. Gli sguardi formano un triangolo immaginario, figura geometrica simbolica e fondamentale nell’arte, un triangolo che rappresenta il tutto, un tutto aperto.
[Estratto dal testo di Stefano Monti]