Del guardare sotto pelle
Paola Bristot
Esiste una classicità della pittura che si impone oltre la circolarità delle tendenze e che riporta ad una pratica quasi ascetica di analisi che non ammette gli attraversamenti di scorciatoie facili e anche accattivanti, rispondenti a gusti e mode correnti.
Questa è una ricerca che prevede un impegno senza limiti, un'occupazione assorbente, una tensione sempre tenuta stretta sulle cose, che mira a oggettivarle a scavare sotto la superficie che disturba la nostra vista e non ci rende consapevoli proprio di quello che è sotto i nostri occhi.
In periodi non così lontani si faceva riferimento al Terzo Occhio, l'occhio che sa guardare attraverso, "A/traverso" era anche il titolo di una rivista underground di quel periodo, erano gli anni Settanta, che mirava a forzare le diritture anche comunicative stereotipate, con azioni dadaiste, comunque artistiche. Raffaele Santillo sceglie oggi, la strada quasi antitetica all'urlo: il silenzio.
Lo svelamento, nel caos imperante, si determina con l'occlusione, l'eliminazione del superfluo, quando la maggior parte delle cose è superfluo e ridondante...
Un atteggiamento si diceva che si riannoda alle tendenze classiche, della ricerca, attraverso la pittura, della realtà che si spinge alla metafisica. Dalla concretezza estrema di una riproduzione a stampa, il nostro reale mediato, Raffaele Santillo finisce per trovarne il senso nell'astrazione, mediante l'estrema sintesi della sua cancellazione. Ma è una sintesi perseguita con una sensibilità oggettuale che non radicalizza all'estremo annichilimento l'oggetto e il reale, quello che guida l'artista invece è la consapevolezza della forza anche minima della memoria che ricostruisce le trame cancellate, le reinventa secondo un nostro personale riannodarne le tracce rimaste apparentemente sospese.
La nostra memoria storica è una memoria familiare, anche intima che rivive ricordi a partire da particolari di una stanza, da gesti di figure legati a un nostro immaginario personale e collettivo, che si appiglia ai particolari sopravvissuti alle figure e agli oggetti stessi. L'altra memoria che si attiva è una memoria percettiva che richiama e rimanda, nella iper produzione iconica in cui siamo affogati, ancora a segni e simboli, come nostre parti costituenti e perciò facilmente traducibili, anche se quasi interamente negati, velati con strati di tempera o colore a olio. Sono gli stessi colori a essere domestici, nel senso proprio di familiari, le tonalità pastello dei toni di grigio azzurro, o il bianco avorio, se pure stesi in superfici ridotte in composizioni di piccole dimensioni, si ampliano oltremodo sfuggendo i contorni di stanze, panorami, prospettive, che sfondano e forzano le intelaiature che diventano finestre che ci riportano dentro, fino al nocciolo del nostro mondo interiore.
Testo realizzato in occasione della mostra L'estate del davanzale, a cura di Paola Bistrot, presso biblioteca civica di Pordenone dal 7 maggio al 30 giugno 2016.